L'uragano Katrina si è abbattuto con furia devastatrice sulla città di New Orleans nella Louisiana il 29 agosto scorso, producendo un disastro che non conosce precedenti nella storia, almeno recente, degli Stati Uniti. Il bilancio delle vittime è tuttora in corso, ma si prevede che siano molte migliaia.
Le immagini di distruzione e di morte che la
televisione ha puntualmente diffuso, pur questa volta con pudica parsimonia, mi
hanno fatto venire in mente le formiche che, da piccoli, ci compiacevamo
di distruggere, inondando i formicai con colpevole sadismo.
E l'uomo, di fronte alla forza e alla violenza
della natura, mi è sembrato che poco possa fare, che
sia sostanzialmente inerme, come quelle povere formiche. Ma poi ho pensato che
la società degli uomini è più complessa di quella
delle formiche. La civiltà dell'uomo si è evoluta in millenni di storia. La
scienza e la tecnica ci hanno dotato di strumenti di difesa.
E allora sì, bisogna ammettere che qualcosa non ha funzionato.
Che le catastrofi naturali colpiscono anche l'uomo con
inaudita violenza, ma che, nello stesso tempo, a condizionarne la
manifestazione, a determinare il danno concorrono circostanze storiche,
politiche, economiche, sociali.
È stato così anche per New
Orleans: i soccorsi sono arrivati con ingiustificati ritardi, la protezione
civile è apparsa inadeguata e disorganizzata, i mezzi e gli uomini impiegati
insufficienti. Impegnate sul fronte della lotta al
terrorismo, le autorità statunitensi hanno tagliato i fondi per far
fronte alle calamità naturali.
E poi
abbiamo visto che molti sono rimasti vittime più che del tifone, della loro
razza e del loro censo economico. New Orleans pullula di afroamericani poveri e disoccupati. Informati del pericolo,
molti di loro non sapevano letteralmente dove scappare. Senza una carta di
credito ben fornita, nel territorio della più grande
potenza mondiale, non si va da nessuna parte. D'altronde nelle società
capitalistiche (ma in quale società non esiste il
privilegio?) è sempre stato così: piove sul ricco come sul povero, ma il ricco
ha almeno l'ombrello con cui ripararsi.
Inoltre la catastrofe era stata indicata
come possibile da molti esperti. Alcuni hanno indicato nel riscaldamento
progressivo del pianeta, determinato da un modo sbagliato di vivere e di
produrre, la causa principale dell'intensità e della distruttività crescente di
certi eventi "naturali". Tuttavia l'uomo continua
a coltivare una incredibile e irresponsabile indifferenza al
degrado del proprio ecosistema, sordo alla necessità di lasciare alle prossime
generazioni un pianeta vivibile.
Ma
l'insegnamento più importante che dalle macerie di New Orleans possiamo trarre
è forse un altro. Le cronache ci riferiscono che, a disastro avvenuto, si
è scatenata una violenza che i più non avevano previsto: saccheggi, rapine,
stupri, omicidi, cecchini che sparavano ai soccorritori, una catena di
brutalità perpetrate su uno sfondo da day after, fatto di acque putride, di epidemie incombenti e di
alligatori che si contendevano le carcasse delle vittime.
La filosofia talvolta ci soccorre, mi è tornato
in mente Thomas Hobbes e le
sue riflessioni sulla politica contenute in quel grande
classico che è il Leviatano: la società degli
uomini ha bisogno dello Stato, di un'autorità sopra le parti, altrimenti
l'esistenza degli uomini si risolve nella guerra di tutti contro tutti,
nell'anarchia, nella paura, nell'insicurezza, nel caos.
E ho pensato a Schopenhauer
che in un suo libro ricorda una massima dell'antichità greca: "Gli uomini
sono cattivi".
Forse non è del tutto vero. Anche a New Orleans abbiamo assistito a una nobile gara di solidarietà, a gesti di eroismo e di altruismo. Ma dobbiamo guardarci dalle utopie e dai miti buonisti. La società umana ha bisogno di libertà, ma anche di ordine, di uguaglianza, ma anche di regole e di giustizia.